Analfabeti funzionali: chi sono e perché il nostro Paese è tra i peggiori
Sono capaci di leggere e scrivere, ma hanno difficoltà a comprendere testi semplici e sono privi di molte competenze utili nella vita quotidiana. Nessuna nazione in Europa, a parte la Turchia, ne conta così tanti. Tutti i numeri per capire la dimensione di un fenomeno spesso sottovalutato.
Sono gli analfabeti funzionali, quegli italiani che non sono in grado di capire il libretto di istruzioni di un cellulare o che non sanno risalire a un numero di telefono contenuto in una pagina web se esso si trova in corrispondenza del link “Contattaci”. È “low skilled” più di un italiano su quattro e l’Italia ricopre una tra le posizioni peggiori nell’ indagine Piaac , penultima in Europa per livello di competenze (preceduta solo dalla Turchia) e quartultima su scala mondiale rispetto ai 33 paesi analizzati dall’Ocse (con performance migliori solo di Cile e Indonesia).
Non si parla in questo caso di persone incapaci di leggere o fare di conto, piuttosto di persone prive «delle competenze richieste in varie situazioni della vita quotidiana», sia essa «lavorativa, relativa al tempo libero», oppure «legata ai linguaggi delle nuove tecnologie», precisa Simona Mineo, ricercatore Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (ex Isfol).
«Chi è analfabeta funzionale non è incapace di leggere – continua Mineo, che è stata anche National data manager per l’indagine OCSE-PIAAC condotta in Italia – ma, pur essendo in grado di capire testi molto semplici, non riesce a elaborarne e utilizzarne le informazioni». Un monito dunque che riguarda in particolar modo il nostro Paese.
L’identikit dei nuovi analfabeti in Italia.
Solo il 10 percento è disoccupato, fanno lavori manuali e routinari, poco più della metà sono uomini e uno su tre degli analfabeti funzionali italiani è over 55. Tra i soggetti più colpiti le fasce culturalmente più deboli come i pensionati e le persone che svolgono un lavoro domestico non retribuito mentre, per quanto riguarda la distribuzione geografica, il sud e il nord ovest del Paese sono le regioni con le percentuali più alte, visto che da sole ospitano più del 60 percento dei low skilled italiani.
A tracciare l’identikit dell’analfabeta funzionale italiano sono le elaborazioni dell’Osservatorio Isfol raccolte nell’articolo “I low skilled in Italia”, studio nato per indagare su quella nutrita parte della popolazione italiana che nell’indagine dell’Ocse ha mostrato di possedere bassissime competenze. Tra i risultati più interessanti, l’aumento della percentuale di low skilled al crescere dell’età, passando dal 20 percento della fascia 16-24 anni all’oltre 41 percento degli over 55. «Questo perché chi è nato prima del 1953 non ha usufruito della scolarità obbligatoria – continua la ricercatrice Mineo – ma anche perché nelle fasce più adulte si soffre maggiormente dell’analfabetismo di ritorno». Ovvero, «se non sono coltivate, vengono perse anche quelle competenze minime acquisite durante le fasi di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro». Andamento inverso per gli high skilled: in altre parole, mano a mano che i mesi passano sul calendario, aumentano le possibilità di diventare analfabeti funzionali.
Articolo a cura di Marco Luppi