Due anni dopo la violenta scossa i territori dell’Etna ne portano ancora i segni.

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Il terremoto registrato il 26 dicembre 2018 è stato l’evento di maggiore energia registrato negli ultimi 70 anni sul vulcano attivo più alto d’Europa.

La superficialità dell’evento ha causato la rottura della faglia di Fiandaca per circa otto chilometri anche con la mobilizzazione di alcune strutture minori adiacenti. Fenomeni come questi di solito sono evidenti quando i terremoti hanno un’energia prossima o maggiore a magnitudo 6.0, ma nelle zone vulcaniche sono già presenti con sismi di magnitudo 3.5. Non sempre però a un’eruzione fa seguito un terremoto. A spiegarlo è stato il vulcanologo dell’Ingv di Catania, Boris Behncke, in seguito all’eruzione dell’Etna dello scorso 30 maggio. “Il fatto che vi sia un’eruzione in corso non significa per niente che ci saranno di nuovo terremoti come a dicembre. Certo, siamo in una zona ad alto rischio sismico, ma questo è a prescindere dalle eruzioni dell’Etna. La maggior parte delle eruzioni sui fianchi dell’Etna sono precedute da modesta attività sismica, che però questa volta non c’è stata”.

Nel frattempo continua l’inesorabile lavoro della Struttura Commissariale per la Ricostruzione dell’Area Etnea S.C.R.A.E., guidata dal Commissario Straordinario dott. Salvatore Scalia, la quale è in costante contatto con i Sindaci dei comuni coinvolti per aggiornarsi continuamente in merito all’erogazione di fondi da parte del Governo Nazionale. Continuano intanto i lavori di ricostruzione.

Articolo a cura di Rosario Cassaniti

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