Roberto Cecere in visita all’ospedale S.M. Goretti di Latina
In qualità di volontario dell’Associazione Istituto per la Famiglia 46 ha permesso ai pazienti di entrare in contatto con i propri cari attraverso una videochiamata: «è già un grande passo, ma ora bisogna aprire le porte ai parenti. La solitudine ‘uccide’ più di qualsiasi altra malattia»
Roberto Cecere ha di recente fatto visita all’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina. Entrato in prima persona all’interno del reparto come volontario dell’Associazione Istituto per la Famiglia 46, l’attuale Segretario Generale della CISL di Latina ha toccato con mano tutta la sofferenza presente all’interno dell’ospedale, cercando di strappare un sorriso ai degenti e regalando loro la possibilità di entrare in contatto con i propri parenti attraverso una videochiamata, eseguita su un dispositivo tablet. Come conseguenza della pandemia da Covid-19 infatti la Regione Lazio ha limitato il contatto tra pazienti e familiari presso le strutture sanitarie pubbliche, con lo scopo di salvaguardare la salute dei malati e di tutti gli operatori. Tuttavia, questa disposizione ha impedito a moltissimi congiunti di assistere i propri cari durante la degenza in ospedale, chiudendo loro ogni possibilità di stabilire un rapporto con l’infermo. Per far fronte a questo disagio, la Direzione Sanitaria dell’ospedale Santa Maria Goretti di Latina e la UOC di malattia infettive, con la collaborazione dell’Associazione di volontariato “Istituto per la Famiglia 46” di Latina, ha attivato un servizio gratuito di videochiamate tra i degenti e i propri familiari, denominato “Voce Amica”.
Un “ponte” tra ospedale e casa attraverso il quale i malati, pur essendo distanti, si sentono meno soli e più vicini a coloro a cui vogliono bene, tutto grazie ad una semplice videochiamata. «Cecere è intervenuto come volontario in forza all’Associazione, accettando di aiutarci in ciò che facciamo ogni giorno» ha asserito Claudio Zappalà, Presidente dell’Associazione di volontariato: «Il nostro è un progetto pilota: siamo l’unico ospedale in Italia che fa questo. Le persone stavano perdendo la loro umanità, era necessario fare qualcosa; la Dott.ssa Lichtner e il Dottor Parrocchia hanno accettato subito la nostra idea e per questo gli siamo grati. Noi siamo dei mediatori: spieghiamo alle famiglie come confrontarsi, collaboriamo con il personale sanitario, creando una specie di osmosi fra tutte le parti. Il nostro compito è prenderci cura dei sentimenti, dare alle persone in degenza degli stimoli che, come abbiamo potuto appurare in queste settimane, funzionano. Ogni malato è come se fosse un nostro familiare».
Tuttavia il Presidente dell’Associazione Istituto per la Famiglia 46 auspica la nascita di un nuovo progetto, il quale possa dare la possibilità ai pazienti di entrare direttamente in contatto con un familiare, sempre rispettando tutte le norme predisposte dall’ospedale. Anche il Segretario Generale Cecere aveva dato vita ad una petizione denominata “Non lasciamoli soli“, a favore dei degenti con patologie gravi e lasciati senza l’affetto dei propri cari ai quali è vietato l’accesso negli ospedali a causa del Covid-19; una petizione indirizzata al Ministro della Salute Roberto Speranza, affinché individuasse una procedura in grado di rendere possibile l’incontro tra i malati e i loro affetti più cari in un periodo così buio come questo, in cui le visite familiari fungono da vere e proprie terapie della mente e del cuore. «Quanta poca umanità c’è stata in questa gestione della pandemia? Sebbene vi è tuttora una lotta senza quartiere al virus – e di questo va dato atto a tutte le forze che si sono impegnate negli ospedali, dagli infermieri, ai medici, a tutto il personale che garantisce l’efficienza delle strutture – allo stesso tempo non ci siamo preoccupati dell’umanità del paziente» ha sottolineato Roberto Cecere, proseguendo poi: «Come volontario dell’Associazione Istituto per la Famiglia 46 ho toccato con mano tutta la sofferenza che c’è nei pazienti del S.M.Goretti, come d’altronde in tutti gli ospedali italiani. La videochiamata è già un grande passo, ma ora bisogna aprire le porte ai parenti dei degenti: la solitudine ‘uccide’ più di qualsiasi altra malattia». È infatti cosa riconosciuta che l’infermo, senza la compagnia dei propri cari, è destinato a spegnersi prima, soprattutto nel caso degli anziani. La videochiamata ideata da Claudio Zappalà e dalla sua Associazione viene fatta dai volontari perché alcune persone che si trovano in situazioni gravi non sono neanche in grado di armeggiare con il telefono o di tenere in mano un tablet. «La situazione va affrontata e risolta. Non si possono abbandonare le persone al proprio destino su un letto di ospedale, senza capire davvero cosa succeda lì dentro. Al di là di tutte le accortezze, in alcuni casi tenere la mano di un proprio caro può aiutare molto più di una terapia farmaceutica. Nella prevenzione e nella gestione della pandemia non possiamo disumanizzare la cura, dimenticandoci di essere umani».
Articolo a cura di Fabrizio Scarfò