Bracciante indiano si toglie la vita: è il 13esimo caso negli ultimi tre anni

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Il fatto è accaduto nella notte di sabato 6 giugno nel residence Bella Farnia, dove abitava con centinaia di connazionali da treanni. Sono stati loro a ritrovare il corpo senza vita di Joban Singh, bracciante indiano di 25 anni che da nove mesi era irregolare e non aveva potuto rinnovare il permesso di soggiorno. 

Marco Omizzolo, sociologo e ricercatore da anni attivo nella lotta ai soprusi e allo sfruttamento di lavoratori venuti da lontano, ha raccontato al Manifesto come questo sia il tredicesimo suicidio negli ultimi tre anni. Secondo il sociologo, la drastica decisione presa da Singh – e da molti altri prima di lui – può essere legata anche alle condizioni di sfruttamento a cui era costretto, e che non sono cambiate nel corso del tempo. Un salario che non superava i 500 euro mensili e la mancata regolarizzazione avevano reso la sua vita insostenibile, e “alcuni di loro, ridotti in schiavitù ed emarginati, si sono impiccati dentro le serre del padrone, unica forma possibile di denuncia e dissenso loro rimasta”, conclude Omizzolo.

Articolo a cura di Fabrizio Scarfò

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